24 dicembre 2010

AUGURI E BUONE FESTE A TUTTI!!!

06 dicembre 2010

Roma - presentazione del libro La rivoluzione bolle in pentola

Domani sera, al Rewild, in via Giovannipoli 18 (a Roma), verrà presentato il libro di Veganriot La rivoluzione bolle in pentola.
Con un contributo di 10 € potrete partecipare a una delle famose abbuffate di Veganriot (il prezzo non comprende dolci e bevande); come sempre chi prima arriva meglio mangia, quindi sbrigatevi! La prenotazione è gradita chiamando lo 0697613910 dopo le 20.

A breve, due parole sul libro, è davvero bello e merita un post!

04 dicembre 2010

Se niente importa

Parecchi giorni fa ho finito di leggere il libro di Jonathan Safran Foer, Se niente importa. È stata una delle letture più interessanti e coinvolgenti degli ultimi anni.
Ovviamente mi interessava molto l'argomento, e cioè le motivazioni che, come società, ci spingono a mangiare gli animali (il titolo originale del libro infatti è Eating animals), ma sono stata conquistata dal modo con cui l'autore ne parla.

Jonathan Safran Foer è uno scrittore, e si vede. Siano esse completamente inventate, ispirate dalla realtà altrui o tratte dalla sua vita, le storie che fanno da contorno alla domanda "perché mangiamo gli animali?" ti legano al libro pagina dopo pagina. Per l’essere umano, raccontare storie è un rituale quasi “magico”; c'è qualcosa di profondamente radicato in tutti noi che ci fa assaporare il piacere delle parole quando non si limitano alla cronaca. Quella stessa malia che da bambini ci faceva addormentare dolcemente, da adulti ci rende molto più disposti a prestare l'orecchio ad argomenti difficili, se sono incorniciati in una storia capace di avvincerci.

Raccontando la realtà degli allevamenti intensivi, Foer segue il filo rosso della storia della sua vita familiare: all’inizio ci sono i ricordi legati all’infanzia e a sua nonna, alla fine le novità portate dalla nascita del primo figlio. La considerazione che sta alla base di tutto il libro è che mangiare è un atto culturale, e mangiare carne è diventato un atto culturale estremamente radicato nella nostra società.
Questo problema se lo pone prima o poi ogni vegetariano, quando si chiede perché tutti continuano a mangiare gli animali e si interroga sulla sorte della propria vita sociale. Prima che Barbara diventasse vegetariana ne abbiamo parlato spesso; secondo lei, trascurare l’aspetto socio-culturale del cibo era un grave errore commesso soprattutto dalle varie associazioni che promuovono il vegetarismo. Prendiamo la scena classica che quasi ogni vegetariano ha vissuto: durante una festa di compleanno, il cenone di Natale, il pranzo di Pasqua o qualsiasi altra simile occasione, i tuoi parenti iniziano a fissarti come un pazzo che ha appena aderito a una strana setta. Il tuo essere diventato vegetariano o la tua scelta di diventarlo sono l'argomento del giorno, e niente li distrae da quel pensiero. Perché all'improvviso quello che mangio o non mangio è diventato così importante agli occhi degli altri? Tutto sommato, non saranno fatti miei e basta? Quando 8 anni fa sono diventata vegetariana, praticamente non mi sono posta il problema; sarà che tutto sommato la serata standard, dalle mie parti, si passa in pizzeria e quindi non avevo difficoltà a mangiare fuori casa, sarà stata la sfacciataggine e il muso duro dell'adolescenza, sarà anche che ero molto giovane e non avevo una grande vita sociale, ma all'epoca non mi importava di rinunciare ai prodotti di origine animale e alle possibilità di socializzazione che essi offrono.
Però, pensiamoci: i cibi della nostra recente tradizione, come i dolci delle feste e i piatti delle grandi occasioni, sono pieni di derivati animali. Noi non abbiamo la festa del Ringraziamento, col suo immancabile tacchino, che tanta importanza assume nel racconto di Foer, però abbiamo una varietà di cibi regionali, a base di carne o di pesce, che nella nostra mente sanno di festa e di cucina della mamma, che “fanno casa”. E l'idea di doverci rinunciare atterrisce molte persone che pure stanno valutando l'idea di diventare vegetariane.
Minimizzare non ha senso: il cibo è importante, soddisfa un bisogno primario, permea il nostro immaginario, ci fa sentire bene fisicamente ed emotivamente, crea occasioni di convivialità... la preferenza per una stessa pietanza può perfino renderci simpatica una persona appena conosciuta. Cosa succede quindi se d'un tratto smettiamo di consumare quelle tipologie di alimenti che, purtroppo, sembrano alla base della dieta dell'italiano medio? Pare quasi che si spezzi qualcosa, che si crei una frattura tra “noi” e gli “altri”, e a volte il timore che ti si crei intorno un vuoto sociale purtroppo non è ingiustificato: agli occhi dei tuoi amici andare a mangiare fuori può sembrare d'un tratto un problema insormontabile, e se ti invitano a casa per una cena vanno incontro al panico del "ma questo lo mangi?" oppure "e adesso che cosa cucino?!". Fino a qualche anno fa all'argomento non veniva data tanta importanza, ma le cose stanno cambiando e sempre più i siti che promuovono il vegetarismo offrono svariati consigli su come gestire lo smarrimento di parenti e amici davanti al cambiamento.
Ciononostante l'insistenza con cui Foer affronta l'argomento mi ha stupita positivamente: per me, il cibo ha una grande importanza, che non può essere minimizzata. Io non bevo caffè, e questo mi preclude molte cose, dal banale tentativo di corteggiamento a base di caffeina al momento di relax universitario davanti ai distributori automatici, per non parlare delle visite di cortesia nelle quali l'ospite non sa mai cosa offrirmi... L'importanza culturale del cibo è innegabile, e Foer la identifica con le storie che raccontiamo sul cibo, perché è con la narrazione che l’uomo crea e tramanda la propria cultura. Quando, da novello vegetariano, immagina le future giornate del Ringraziamento, Foer sa di dover trovare nuove narrazioni per i suoi nuovi cibi e le nuove abitudini alimentari.
Mi arrabbio molto quando vengo accusata di sentire la mancanza della carne perché mangio prodotti "sostitutivi" come burger, affettati, wurstel vegetali. Chi dice questo non comprende affatto i termini della questione. La carne l'ho mangiata, mi piaceva, ma poi ho scelto di smettere e non ricomincerei per nulla al mondo; non mi mancano il suo sapore o la sua consistenza, non mi manca la carne in sé, anzi. Ma a volte mi mancano i suoi significati, le narrazioni e i riti che vi costruiamo intorno.
Se la mamma che fino al giorno prima ti coccolava con lasagne e polpette non si sente più in grado di cucinare per te perché non sa cosa prepararti, ti si può spezzare il cuore. Se all'aperitivo tutti si riempiono il piatto e tu resti a stomaco vuoto, ti senti certamente escluso dal gruppo. E deludere zie premurose rifiutando i loro manicaretti può farti sentire terribilmente in colpa. Questo importa, nostro malgrado, ed è uno dei motivi per cui tutti finiamo per mangiare wurstel di tofu, burger di soia, straccetti di seitan, formaggi vegetali eccetera – oltre al fatto che sono buoni, intendo. Poter andare al Rewild con un gruppo di onnivori e mangiare tutti insieme un cibo dal rassicurante aspetto di un hot-dog o di un hamburger, ma vegan, mette d'accordo tutti. Ti infonde la speranza di poter accordare felicemente una vita sociale sana all'alimentazione che ritieni più giusta per te.

Per te, ma non solo. Foer dà spazio all'insostenibilità ecologica ed economica degli allevamenti intensivi, spiegando come riescano a tenere i prezzi bassi esternalizzando alcuni costi, cioè facendoli drammaticamente ricadere sull'intera società. La storia degli scempi ambientali e sanitari causati da questi allevamenti fa accapponare la pelle ed è molto attuale, in tempi di superinfluenze e zoonosi sempre più diffuse. E anche se non ho ancora letto La dieta skinny bitch, per quanto ne so di quest’ultimo, i due libri devono avere una certa affinità nel descrivere le vere e proprie schifezze contenute nei cibi di origine animale. Il brodo di merda resterà nei miei incubi per un pezzo.

Di contro, le sofferenze patite dagli animali sono quasi assenti: permeano tutte le pagine, ma in modo sottile, quasi invisibile. È soltanto alla fine che arrivano gli schiaffi in pieno viso. Alla fine, quando ormai hai abbassato le difese e pensi che quel libro, tutto sommato, sia innocuo, incruento, che nulla di quanto hai letto tornerà a tormentarti quando chiudi gli occhi. A quel punto arriva il racconto orribile delle violenze, del sadismo, delle torture, dritto dalla bocca di chi lavora nella filiera della carne. Testimonianze durissime, sconvolgenti nella loro “normalità”.
E qui mi è successa una cosa paradossale. Mi sono immedesimata in quelle persone, ho provato compassione per loro, mi sono messa nei loro panni, per quanto fosse folle e doloroso. Perché mi sembrava comunque folle provare pietà per chi incrudelisce senza alcun motivo su animali già condannati a morte, li tortura per sadismo puro e semplice e lo fa a ritmi così serrati, in tale quantità che alla fine lo trova normale... diventando una persona alienata dalla realtà umana, nel senso profondo della parola. Mi sono scoperta a chiedermi se potrei mai stare accanto a chi fa quel lavoro, mi sono risposta di no. Non potrei mai seppellire un filo di inquietudine, dovuto al pensiero che a furia di uccidere e fare a pezzi animali diventi un po' più facile uccidere anche le persone. Ma comunque, mi sono sentita scissa in due: da una parte il rifiuto di provare altro che odio e schifo per loro; dall’altra la pena per persone che capiscono di fare qualcosa di atroce e sbagliato ma vanno avanti, a volte perché non hanno alternativa.

Sorprendente, no? E non è tutto: Foer offre sempre più punti di vista, tutti differenti, sulle varie questioni trattate, e a volte il risultato è straniante. Provate a leggere le parole dell’allevatrice di bovini vegetariana, o quelle del vegano che progetta mattatoi... in un modo o nell’altro, ti scuotono qualcosa dentro.

Alla fine, tutti questi racconti costruiscono una storia più complessa, personale e universale insieme. Sono sempre documentati, le note del libro sono tantissime. Purtroppo, a proposito di documentazione e universalità, mi sono chiesta spesso se quelle cose valessero anche per l'Europa, per gli allevamenti nostrani. È una obiezione comune, da parte di chi mangia carne: tanto questo non succede da noi, quei video riguardano l'America / i paesi dell’Est / chissà dove... E allora, per chi ci tiene, c’è l'indagine nei macelli europei di un paio di anni fa, in DVD, e i video di TV animalista, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

Pubblico adesso questo post perché ieri, mentre tornavo a Castellammare in pullmann, ho visto sfrecciarmi accanto un furgone stipato di pecore e sono rimasta attonita per qualche secondo. Spero di aver visto male, spero che quel mucchio di lana ammucchiata e pressata ed esposta alle intemperie non fosse così come l’ho visto.
Mi chiedo dove andassero quelle pecore, mi domando se adesso stiano soffrendo, o se siano state uccise ed abbiano smesso di soffrire per sempre. Quando d’improvviso mi trovo davanti una pescheria o la vetrina d’un macellaio mi ricordo di colpo che gli animali muoiono, ancora e ancora, perché la gente vuole mangiarli. Questo pensiero mi addolora... e mi sorprende, perché queste morti sono così futili, così evitabili. Non mi sento perfetta perché vegetariana, faccio ciò che la coscienza mi detta e che ritengo giusto in senso assoluto. Sì, vorrei che tutti smettessero di mangiare carne, lo vorrei tanto da non poterlo descrivere a parole. Vorrei porre fine alla sofferenza, ecco tutto. Mi sembra una possibilità così vicina, e così lontana dall’essere raggiunta, che mi si spezza il respiro quando ci penso. Mi si spezza proprio perché la vedo così vicina e facile da ottenere, e così lontana dal realizzarsi. Non mi sento migliore degli altri, ma sono così contenta, così contenta di essere fuori da tutto ciò.


Se niente importa non è un’opera di propaganda, ma un racconto toccante e profondo che spinge a riflettere su molte cose, non solo per ciò che dice ma anche per come lo dice: è scritto davvero bene, sarà per questo che il messaggio passa così diretto, al cuore e alla testa.

Non ho messo grandi citazioni perché invece di comprarlo l'ho letto in biblioteca e l'ho già restituito... un'ottima soluzione per una studentessa squattrinata. Qui trovate un elenco di quelle che ce l'hanno, ma in ogni caso chiedete alla vostra biblioteca comunale, e se non c'è suggeritene l'acquisto. A me è piaciuto tanto che voglio rileggerlo presto. E voi, lo avete già fatto?


Jonathan Safran Foer
Se niente importa
Perché mangiamo gli animali?
Guanda
2010
368 pp.
€ 18.00

26 novembre 2010

Muffin al cioccolato e peperoncino

Giornata qualunque della scorsa primavera. Vera e il Mancino passeggiano tranquillamente per Villa Borghese tenendosi per mano. D'un tratto scorgono un brulichio di gazebo in lontananza e, per puro caso, si imbattono nell'iniziativa Le piazze del bio, organizzata in tutta Italia dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, insieme con le Regioni, per far conoscere al grande pubblico l'agricoltura biologica e i suoi prodotti.

Al termine del giro, tornano a casa con: l'ormai familiare sensazione che la coerenza, a volte, sia solo una parola svuotata del proprio senso (a giudicare dai quintali di volantini a colori stampati dalla Regione Lazio per sponsorizzare la manifestazione: a che serve allora parlare tanto di ecologia...?); il palato unto a dovere dai mille assaggini di olio d'oliva gentilmente offerti dai produttori (il Mancino ha declinato, io invece ho perso qualsiasi inibizione, anche perché stavo morendo di fame, e non ho risparmiato neanche uno stand); 1.8 kg di biete biologiche della Fattoria solidale del Circeo + 200 g di insettini contenuti nelle biete stesse (però erano buonissime e, nonostante lo shock del lavandino invaso dagli insettini, vorremmo darle una seconda chance); 3 confezioni di crema spalmabile a base di nocciole, prodotte da Dea nocciola (e comprate direttamente dal produttore, per un totale di 10 euro).

La Cannellina e la Under 18 hanno avuto vita breve. La Peperina, beh, ci ha sorpresi. Certo, da una crema al cioccolato e peperoncino, e con un nome simile, ti aspetteresti un po' di focosità... ma questa non era solo un po' focosa, no: era un incendio estivo, di quelli che affliggono la nostra penisola ardendo per giorni e giorni! Non c'era verso di mangiarla al naturale e dopo mesi la Peperina stava ancora in dispensa a farsi beffe di me. Almeno fino a ieri.
Ieri mi è venuta l'idea di preparare dei muffin al burro di arachidi; poi ho pensato che, tutto sommato, tra burro di arachidi e crema di nocciole non c'è tanta differenza... e un lampo di sadismo e follia mi ha attraversato gli occhi. Eccola, la mia occasione per far fuori l'impudente! Muffinizzandola!!


Muffin al cioccolato e peperoncino
Ingredienti per 12 muffin

350 g di farina 00
400 ml di latte di soia
150 g di crema di nocciole al cioccolato e peperoncino
100 g di zucchero di canna
1 bustina di cremor tartaro (più 1 cucchiaino di bicarbonato, se non c'è già)
3 cucchiai di aceto di vino bianco o di mele

Accendete il forno a 180°.
Versate la crema di nocciole in una ciotola ampia e stemperatela versandovi il latte di soia, poco alla volta. Aggiungete lo zucchero e fatelo sciogliere, mescolando bene; infine unite l'aceto.
Setacciate la farina in una ciotola ampia; aggiungete il cremor tartaro ed eventualmente il bicarbonato.
Versate gli ingredienti liquidi su quelli secchi e mescolate per il tempo necessario a sciogliere i grumi, non di più.
Versate l'impasto negli stampi (se non usate quelli di silicone, devono essere unti e infarinati) fino a 1 cm dal bordo; cuocete per 25 minuti e accertatevi della cottura facendo la prova stecchino.

Quasi rimpiango la dipartita della Peperina: i muffin erano squisiti e mi hanno fatto venir voglia di mettere le mani su un altro barattolo! Sono piccanti, ma il giusto: il gusto speziato c'è, ma non dà fastidio; com'è ovvio, il connubio col cioccolato è da manuale... e sono perfetti per una serata invernale, col freddo che fa! E comunque rinnovo il mio imperituro amore per i muffin, l'unico dolce che ti viene tanto più buono quanto più lo improvvisi...
Buon appetito!

09 novembre 2010

Sto leggendo...

...il libro di Jonathan Safran Foer, Se niente importa. Giusto per dirvi che ci sono ancora, e sono sempre io, anche se assente, e intenta, così, semplicemente a vivere.

21 settembre 2010

E allora MAMbo!*

Sul finire di agosto io e il Mancino ci siamo regalati un viaggio a Ravenna, via Bologna. Lo so, non ho detto niente a nessuno e così probabilmente ho perso l'occasione di incontrare qualcuno di voi... ma volevamo starcene per conto nostro, una volta tanto, godendoci una totale autonomia di spostamenti e la libera scelta su cosa fare e quando farlo. Sappiate subito che Ravenna mi è piaciuta tantissimo, quindi ci sono forti probabilità di ritornarci, anche se non a breve.

Come dicevo, sia all'andata che al ritorno siamo passati per Bologna, città il cui nome basta a causare l'orticaria alla mia amica Laura ma che a me non è dispiaciuta.
È piccola, ma proprio tanto. Si gira a piedi senza difficoltà, infatti tutti si sconvolgevano quando chiedevamo informazioni sugli autobus... altro che Roma! Avendo lasciato i bagagli in deposito in stazione, gli spostamenti sono stati facilissimi; purtroppo, la città sembrava moribonda. Capisco che d'estate gli studenti scarseggino, ma per essere il sabato dell'ultima settimana di agosto, mi aspettavo un po' di vita in più...

Tralascio l'elenco di quello che abbiamo visto e fatto, per raccontarvi alcune delle cose che ci hanno colpito.
Innanzitutto, tanto di cappello a tutti i vegetariani e vegan che vivono in Emilia Romagna: dovunque ci girassimo, i menù erano infarciti di carne (e a Ravenna anche di pesce); in alcuni casi le verdure non c'erano neppure come contorno. Alla fine abbiamo mangiato al ristorante cinese: come sempre, una garanzia di cibo vegan a poco prezzo. Veramente a un passo dalla stazione c'era una specie di tavola calda (google mostra una tabaccheria, ma adesso c'è una tavola calda) che serviva i piatti pronti Bioappetì, però all'ora di cena non eravamo in zona. Siamo anche incappati in una piadineria che offriva una sedicente piadina vegetariana, col formaggio, e fin qui ci siamo... c'era scritto vegetariano, non vegan. Ma qualcuno dovrebbe proprio spiegare a Mr Piadina che lo strutto presente nell'impasto NON è un ingrediente vegetariano!

Pazienza. Ci siamo rifatti la bocca con il sorbetto 100% vegetale di Grom, piacevole scoperta fin dai tempi della gita a Siena (quella in cui ho imparato a svuotare la mooncup nei bagni pubblici). Nelle gelaterie trovate una tabella con l'elenco dei gusti adatti alle varie intolleranze; i prezzi sono un po' alti, ma ne vale decisamente la pena!

Passeggiando per la città, ci siamo imbattuti in una delle sedi di Eataly, così siamo entrati a dare un'occhiata. Che dire? I prezzi, ovviamente, sono altissimi e quei pochi prodotti vegan sono comunque così "improbabili" che perfino io sono uscita a mani vuote. Però è stato divertente. Vedere espositori su espositori di pregiata pasta di Gragnano mi ha fatto sorridere. Gragnano confina con Castellammare e la sua pasta si trova sulla tavola di tutti gli stabiesi quotidianamente - e non certo a quei prezzi! Ma immagino che sia lo stesso, che so, per i capperi a Salina o cose del genere. Comunque, non voglio giudicare Eataly, sono solo osservazioni buttate lì... ad avere un po' di soldi da spenderci, deve essere bello concedersi qualche sfizio in un posto del genere.
Per esempio, portando a casa qualche libro. A destra potete vedermi mentre mi cimento in una posa "Nigella Lawson style"; pregasi notare la mia fantastica abbronzatura, duramente conquistata con 15 giorni di esposizione al sole cilentano!**

Un' ultima cosa da dire su Bologna, poi chiudo perché a scrivere tutto ci vorrebbero ore.
Ci sono un sacco di biciclette in giro, non quante a Ravenna, ma comunque in numero impressionante! Purtroppo pare ci sia anche un discreto traffico di bici rubate, come dimostrano iniziative di questo tipo, ma fa veramente effetto vedere tante persone che pedalano... Approfondirò il discorso nel prossimo post in cui, oltre a straparlare di Ravenna, sarete messi al corrente dei miei tentativi di entrare in possesso di una bici... con annessi e connessi!

**No, non questo qui, ques'altro! Non siamo riusciti a vederlo, ma il titolo mi piaceva così!
*Chi non lascerà commenti sulla mia fantastica abbronzatura verrà bannato da questo blog vita natural durante...

19 settembre 2010

Rimettendo la testa a posto

No, non sono incinta. Immagino che qualcuno l'abbia pensato e del resto, se una scrive di essere innamorata e sentirsi a casa nella sua nuova città d'adozione, e poi sparisce per un mese e mezzo, il dubbio forse viene.
Perfino mia madre, qualche giorno fa, mi ha telefonato per chiedermi come mai non scrivessi più sul blog. Quindi, una doppia rassicurazione: no, non sono incita e sì, da oggi ricomincerò a scrivere. E mamma, per favore, smettila di leggere questo blog!
Sono tornata a Roma da un pezzo ma, come suggerisce il titolo del post, non ho ancora messo la testa a posto dopo questa folle estate, una delle più folli degli ultimi anni. Uhm, ripensandoci, tutte le estati degli ultimi quattro o cinque anni sono state folli... ma si sa, l'ultima sembra sempre la peggiore, no? Almeno, per me è così!
Un'estate stravagante, ma a suo modo dolce. L'impatto con l'arrivo dell'autunno è tremendo. Rimpiango il sole e il mare, quel mare che mi immagino sempre essere dalle parti dei Castelli Romani, nemmeno fossero il Vesuvio... rimpiango la pigrizia e quel tempo lento che scorre piano tra la spiaggia e gli eucalipti... rimpiango l'assenza di pensieri e il suono confortante che veniva fuori dal mio lettore mp3, mentre oziavo come una lucertolina a pochi metri dalle onde salate...
Sono tornata a Roma, ma la mia testa è irreperibile. È rimasta da qualche parte tra il Cilento e Castellammare, a quanto pare. Ce la farò a richiamarla qui? Lo spero proprio!
Ci sono tante cose da fare, e bastano per farmi sentire schiacciata dalle responsabilità. Sì, se potessi, tornerei molto volentieri nel mio nido estivo fatto di leggerezza e disimpegno. Questa fase di passaggio è più dura del solito, per me: non vado pazza per l'autunno, ma stavolta sto avendo proprio grandi difficoltà ad accettare il ritorno alla "normalità"!

Note positive: ho tantissime idee per la testa... forse troppe, come sempre; ma le sto mettendo in pratica, pian piano. Il più grande cambiamento sta nel fatto che ho ricominciato a mangiare come si deve, con dei veri pasti, a base di vero cibo. Non potete sapere quanto male io abbia mangiato fino ad oggi... ma sto migliorando. Come dicevo, veri pasti con vero cibo, e per di più con un occhio di riguardo a calcio, ferro, B12, omega3.
Al Naturasì ho comprato l'olio di semi di lino da frigorifero; non l'avevo mai usato ma era in offerta, e mi son detta "ora o mai più". Terrorizzata da racconti terribili su un olio puzzolente di pesce marcio, sono rimasta piacevolmente stupita dal sapore di noci dei semi di lino. Il Mancino conferma che è tutt'altra cosa rispetto all'olio non "da frigo" assaggiato in passato; lo sto usando tranquillamente in una quantità di piatti, è davvero buono! Se volete saperne di più sulle sue proprietà, cliccate qui.

Pochi giorni fa ho mangiato una deliziosa parmigiana di zucchine e sto cucinando un sacco di cose nuove. L'idea di dover allestire un set fotografico e impazzire per immortalare il tutto non mi sorride, ma ci sono molte ricette che vorrei condividere con voi.

Bentornati, dunque, e... spero che il mio ritorno su queste pagine non si spezzi troppo presto. Proverò a prenderlo con leggerezza, quindi scriverò una quantità di chiacchiere e divagazioni prima di arrivare al sodo, ma aspettatevi anche post brevissimi e stringati. È passato così tanto tempo dall'ultimo post, devo proprio riprenderci la mano!

Ce la farà, la vostra eroina? Lo scoprirete nella prossima puntata...