31 dicembre 2010

Riepilogo del 2010

Tanti blogger in queste ore stanno pubblicando post con "il meglio del 2010", io colgo l'occasione per salutarvi. Negli ultimi 12 mesi la mia vita è stata arricchita da tante cose belle; non tutte hanno trovato un riflesso in queste pagine, ma alcune sì... a partire dalle ricette. Ecco le mie preferite!

Non posso non citare i maki, un piatto di cui non mi sazio mai e che mi permette di esprimere la mia passione smodata per l'avocado; la mia altrettanto smodata passione per il tempeh, invece, mi ha accompagnata per tutto l'anno e l'ho sfogata abbondantemente con ricette memorabili, come quella col topinambur e latte di cocco. Tuttavia, il campo in cui mi sono data davvero alla pazza gioia è quello dei dolci, si vede che gli sconvolgimenti del trasferimento a Roma hanno prodotto in me qualche carenza affettiva. Assolutamente da rifare e provare in nuove varianti le cupcakes, mentre aspetto con ansia il ritorno dell'estate per ricominciare a rimpinzarmi di gelati, sorbetti, torte gelato e ancora gelati. In autunno è stato il turno dei muffin; peccato essermi segnata le ricette su fogli volanti che ho puntualmente perso. Ancora mi mangio le mani per una delle mie ultime invenzioni, muffin alla banana e spezie, spero di ritrovare i miei appunti da qualche parte... ma almeno di quelli al cioccolato e peperoncino è rimasta testimonianza!

Tanti preziosi momenti dell'anno appena trascorso resteranno per sempre nei miei ricordi, e per ora solo lì dato che mancano cronache e foto... uno dei pochi che è stato immortalato a vostro beneficio è la nevicata di febbraio, ma ormai Roma si sta abituando alla neve!


Mi ha stupita positivamente il fatto che, nonostante io abbia postato poco, il numero delle vostre e-mail e dei vostri commenti non sia affatto diminuito, anzi; i miei lettori fissi sono ormai più di 300. Per permettervi di seguirmi con più facilità ed essere sempre aggiornati su cosa posto ho creato anche una pagina di facebook per il blog... se vi piace, cliccateci su.

Il 2010 è stato un anno intenso, di crescita, di cambiamenti, di felicità, ma anche di fatica. Il blocco che ha colpito il blog non è che il riflesso della situazione di stasi che io stessa sto attraversando, e dalla quale mi auguro di uscire presto, perché di sentirmi imprigionata nella mia stessa vita non ne posso proprio più, è una cosa che non sopporto.

Vi ringrazio quindi della vostra presenza e del vostro affetto, e vi lascio con l'augurio che il 2011 sia un anno migliore del precedente, ricco di stimoli e di opportunità; e soprattutto di gioia, e di energie, e di amore, da dare e da ricevere. Buon anno nuovo e buona vita a tutti, arrivederci nel 2011!

27 dicembre 2010

Come autocostruirsi un albero di Natale

Forse è un po' tardi per cominciare a scrivere qualcosa sui temi delle feste di Natale, ma le idee si conservano da un anno all'altro, no? Tenetevi buono per il 2011 questo suggerimento su come autocostruire un "albero" di Natale in maniera molto ecologica e molto economica. Leggere per credere.

Premessa: a partire dalla metà di novembre, sul forum Sai cosa ti spalmi (dove i discorsi a tema etico sono all'ordine del giorno) si è cominciato a parlare di albero di Natale. Quale comprare? Quello finto, di plastica e quindi di derivazione petrolifera, ma che dura per anni, non spoglia le foreste e non fa soffrire alcuna pianta a causa di trattamenti sbagliati? Quello vero, che per molte ragazze incarna lo spirito delle feste e senza il quale non è Natale?
In quest'ultimo caso, ci sono due problemi da risolvere: la provenienza dell'albero e il suo successivo smaltimento. Qualcuno suggeriva di scegliere le cime di alberi abbattuti per motivi indipendenti dal Natale, oppure gli alberelli giovani tagliati per diradare i boschi; basta accertarsi dell'origine di queste piante, che devono essere certificate. Chi non può ripiantare l'albero in piena terra, dopo l'epifania deve smaltirlo correttamente, o riconsegnarlo a chi l'ha venduto perché lo smaltisca. La querelle tra albero vero e finto è interessante e completamente aperta; potete approfondirla online, ad esempio qui.
Molte ragazze sono state tentate dall'albero dell'IKEA, e come dar loro torto? Dal 19 novembre era possibile acquistare un piccolo abete rosso (circa 1.70 m) al costo di 12.99 €; riportandolo all'IKEA tra il 5 e il 12 gennaio insieme allo scontrino, si riceve un buono dello stesso valore, spendibile entro circa un mese. Inoltre, per ciascun albero restituito IKEA dona 3 € al WWF per la creazione di un'area provvista di arbusti da frutto nell'Appennino centrale, territorio dell’orso bruno marsicano e di innumerevoli animali selvatici. E con gli alberi restituiti, pare che all'IKEA ci facciano i mobili, quindi il "sacrificio" non è vano.

Il mancino ci sbavava letteralmente dietro, ma gli alberi veri tenuti in appartamento mi fanno tristezza, necessitano giustamente di tante cure e non ci sono abituata; a casa mia l'albero è sempre stato finto, ne abbiamo avuto uno per quasi 20 anni, adesso ce n'è un altro che ci accompagna fedelmente da almeno 5 e promette di durare un'eternità, nonostante il peso degli addobbi e Tarty che ci dorme dentro. Come fare a portare comunque un po' di agognato spirito natalizio nella triste dimora romana? Facile: basta allestire un Ramo di Natale!


Occorrente:

1) Uno o più rami d'albero, raccattabili in qualsiasi parco cittadino. Non importa il tipo di albero, basta che vi piacciano i rami, ma che non siano troppo sottili e delicati: dovrete sbatacchiarli un po' e devono reggere il peso, seppur piccolo, delle decorazioni. Togliete i rametti spezzati, assicuratevi che non abbiano parti marce e fate attenzione agli insetti! Andando a cercare i rami dopo una nottata particolarmente ventosa, avrete l'imbarazzo della scelta.

2) Un vaso in cui sistemare i rami, di dimensioni adeguate; io ho raccolto una specie di foresta e usato il portaombrelli! Lo svantaggio è che se piove non posso prendere l'ombrello (ci dovevo pensare prima di usarlo per tenere incastrati i rami), ma il mio "vaso", decorato con un nastro rosso, fa una discreta figura.

3) Decorazioni riciclate. Comprendono: palline regalate da amici impietositi perché spaiate o non più nuovissime (oppure le veterane delle fotografie del menù di Natale 2009, le riconoscete?); decorazioni natalizie conservate dagli anni precedenti, come fiocchetti di stoffa, alberelli di cartone, stelline di rattan eccetera; nastri, preferibilmente larghi e in tessuto abbastanza rigido, da annodare ai rami, perfetti se rossi o dorati; piccoli pacchetti regalo creati incartando e infiocchettando scatoline di cartone, ovviamente con carta e materiali riciclati; fiorellini di stoffa tipo quelli che accompagnano le bomboniere o fungono da chiudipacco; fili di rafia e simili per appendere le decorazioni; qualsiasi altra cosa vi suggerisca la fantasia... in questo caso avere la mania di conservare tutto si rivela utilissimo!

4) Per sostituire i festoni, basta avere delle bustine lucide, del tipo "a sacchetto", quelle piatte con tre lati saldati insieme. Se ne tagliano delle strisce sottili, ottenendo degli anelli da intrecciare l'uno con l'altro, fino ad avere delle catenelle della lunghezza voluta da avvolgere intorno ai rami. Farlo è più facile che spiegarlo!

Adesso basta mixare il tutto assecondando il vostro gusto e... il ramo di Natale è pronto!



Purtroppo la foto non gli rende giustizia, l'ho scattata in condizioni estreme e con il cellulare... Dal vivo è davvero bello, semplice ma in qualche modo poetico, i rami spogli fanno risaltare le poche decorazioni, e l'effetto natalizio è assicurato. Tutto è stato fatto con materiali di recupero, senza spendere un solo euro. Realizzarlo è stato divertente e mi piace molto; e a voi, che ne pare?

24 dicembre 2010

AUGURI E BUONE FESTE A TUTTI!!!

06 dicembre 2010

Roma - presentazione del libro La rivoluzione bolle in pentola

Domani sera, al Rewild, in via Giovannipoli 18 (a Roma), verrà presentato il libro di Veganriot La rivoluzione bolle in pentola.
Con un contributo di 10 € potrete partecipare a una delle famose abbuffate di Veganriot (il prezzo non comprende dolci e bevande); come sempre chi prima arriva meglio mangia, quindi sbrigatevi! La prenotazione è gradita chiamando lo 0697613910 dopo le 20.

A breve, due parole sul libro, è davvero bello e merita un post!

04 dicembre 2010

Se niente importa

Parecchi giorni fa ho finito di leggere il libro di Jonathan Safran Foer, Se niente importa. È stata una delle letture più interessanti e coinvolgenti degli ultimi anni.
Ovviamente mi interessava molto l'argomento, e cioè le motivazioni che, come società, ci spingono a mangiare gli animali (il titolo originale del libro infatti è Eating animals), ma sono stata conquistata dal modo con cui l'autore ne parla.

Jonathan Safran Foer è uno scrittore, e si vede. Siano esse completamente inventate, ispirate dalla realtà altrui o tratte dalla sua vita, le storie che fanno da contorno alla domanda "perché mangiamo gli animali?" ti legano al libro pagina dopo pagina. Per l’essere umano, raccontare storie è un rituale quasi “magico”; c'è qualcosa di profondamente radicato in tutti noi che ci fa assaporare il piacere delle parole quando non si limitano alla cronaca. Quella stessa malia che da bambini ci faceva addormentare dolcemente, da adulti ci rende molto più disposti a prestare l'orecchio ad argomenti difficili, se sono incorniciati in una storia capace di avvincerci.

Raccontando la realtà degli allevamenti intensivi, Foer segue il filo rosso della storia della sua vita familiare: all’inizio ci sono i ricordi legati all’infanzia e a sua nonna, alla fine le novità portate dalla nascita del primo figlio. La considerazione che sta alla base di tutto il libro è che mangiare è un atto culturale, e mangiare carne è diventato un atto culturale estremamente radicato nella nostra società.
Questo problema se lo pone prima o poi ogni vegetariano, quando si chiede perché tutti continuano a mangiare gli animali e si interroga sulla sorte della propria vita sociale. Prima che Barbara diventasse vegetariana ne abbiamo parlato spesso; secondo lei, trascurare l’aspetto socio-culturale del cibo era un grave errore commesso soprattutto dalle varie associazioni che promuovono il vegetarismo. Prendiamo la scena classica che quasi ogni vegetariano ha vissuto: durante una festa di compleanno, il cenone di Natale, il pranzo di Pasqua o qualsiasi altra simile occasione, i tuoi parenti iniziano a fissarti come un pazzo che ha appena aderito a una strana setta. Il tuo essere diventato vegetariano o la tua scelta di diventarlo sono l'argomento del giorno, e niente li distrae da quel pensiero. Perché all'improvviso quello che mangio o non mangio è diventato così importante agli occhi degli altri? Tutto sommato, non saranno fatti miei e basta? Quando 8 anni fa sono diventata vegetariana, praticamente non mi sono posta il problema; sarà che tutto sommato la serata standard, dalle mie parti, si passa in pizzeria e quindi non avevo difficoltà a mangiare fuori casa, sarà stata la sfacciataggine e il muso duro dell'adolescenza, sarà anche che ero molto giovane e non avevo una grande vita sociale, ma all'epoca non mi importava di rinunciare ai prodotti di origine animale e alle possibilità di socializzazione che essi offrono.
Però, pensiamoci: i cibi della nostra recente tradizione, come i dolci delle feste e i piatti delle grandi occasioni, sono pieni di derivati animali. Noi non abbiamo la festa del Ringraziamento, col suo immancabile tacchino, che tanta importanza assume nel racconto di Foer, però abbiamo una varietà di cibi regionali, a base di carne o di pesce, che nella nostra mente sanno di festa e di cucina della mamma, che “fanno casa”. E l'idea di doverci rinunciare atterrisce molte persone che pure stanno valutando l'idea di diventare vegetariane.
Minimizzare non ha senso: il cibo è importante, soddisfa un bisogno primario, permea il nostro immaginario, ci fa sentire bene fisicamente ed emotivamente, crea occasioni di convivialità... la preferenza per una stessa pietanza può perfino renderci simpatica una persona appena conosciuta. Cosa succede quindi se d'un tratto smettiamo di consumare quelle tipologie di alimenti che, purtroppo, sembrano alla base della dieta dell'italiano medio? Pare quasi che si spezzi qualcosa, che si crei una frattura tra “noi” e gli “altri”, e a volte il timore che ti si crei intorno un vuoto sociale purtroppo non è ingiustificato: agli occhi dei tuoi amici andare a mangiare fuori può sembrare d'un tratto un problema insormontabile, e se ti invitano a casa per una cena vanno incontro al panico del "ma questo lo mangi?" oppure "e adesso che cosa cucino?!". Fino a qualche anno fa all'argomento non veniva data tanta importanza, ma le cose stanno cambiando e sempre più i siti che promuovono il vegetarismo offrono svariati consigli su come gestire lo smarrimento di parenti e amici davanti al cambiamento.
Ciononostante l'insistenza con cui Foer affronta l'argomento mi ha stupita positivamente: per me, il cibo ha una grande importanza, che non può essere minimizzata. Io non bevo caffè, e questo mi preclude molte cose, dal banale tentativo di corteggiamento a base di caffeina al momento di relax universitario davanti ai distributori automatici, per non parlare delle visite di cortesia nelle quali l'ospite non sa mai cosa offrirmi... L'importanza culturale del cibo è innegabile, e Foer la identifica con le storie che raccontiamo sul cibo, perché è con la narrazione che l’uomo crea e tramanda la propria cultura. Quando, da novello vegetariano, immagina le future giornate del Ringraziamento, Foer sa di dover trovare nuove narrazioni per i suoi nuovi cibi e le nuove abitudini alimentari.
Mi arrabbio molto quando vengo accusata di sentire la mancanza della carne perché mangio prodotti "sostitutivi" come burger, affettati, wurstel vegetali. Chi dice questo non comprende affatto i termini della questione. La carne l'ho mangiata, mi piaceva, ma poi ho scelto di smettere e non ricomincerei per nulla al mondo; non mi mancano il suo sapore o la sua consistenza, non mi manca la carne in sé, anzi. Ma a volte mi mancano i suoi significati, le narrazioni e i riti che vi costruiamo intorno.
Se la mamma che fino al giorno prima ti coccolava con lasagne e polpette non si sente più in grado di cucinare per te perché non sa cosa prepararti, ti si può spezzare il cuore. Se all'aperitivo tutti si riempiono il piatto e tu resti a stomaco vuoto, ti senti certamente escluso dal gruppo. E deludere zie premurose rifiutando i loro manicaretti può farti sentire terribilmente in colpa. Questo importa, nostro malgrado, ed è uno dei motivi per cui tutti finiamo per mangiare wurstel di tofu, burger di soia, straccetti di seitan, formaggi vegetali eccetera – oltre al fatto che sono buoni, intendo. Poter andare al Rewild con un gruppo di onnivori e mangiare tutti insieme un cibo dal rassicurante aspetto di un hot-dog o di un hamburger, ma vegan, mette d'accordo tutti. Ti infonde la speranza di poter accordare felicemente una vita sociale sana all'alimentazione che ritieni più giusta per te.

Per te, ma non solo. Foer dà spazio all'insostenibilità ecologica ed economica degli allevamenti intensivi, spiegando come riescano a tenere i prezzi bassi esternalizzando alcuni costi, cioè facendoli drammaticamente ricadere sull'intera società. La storia degli scempi ambientali e sanitari causati da questi allevamenti fa accapponare la pelle ed è molto attuale, in tempi di superinfluenze e zoonosi sempre più diffuse. E anche se non ho ancora letto La dieta skinny bitch, per quanto ne so di quest’ultimo, i due libri devono avere una certa affinità nel descrivere le vere e proprie schifezze contenute nei cibi di origine animale. Il brodo di merda resterà nei miei incubi per un pezzo.

Di contro, le sofferenze patite dagli animali sono quasi assenti: permeano tutte le pagine, ma in modo sottile, quasi invisibile. È soltanto alla fine che arrivano gli schiaffi in pieno viso. Alla fine, quando ormai hai abbassato le difese e pensi che quel libro, tutto sommato, sia innocuo, incruento, che nulla di quanto hai letto tornerà a tormentarti quando chiudi gli occhi. A quel punto arriva il racconto orribile delle violenze, del sadismo, delle torture, dritto dalla bocca di chi lavora nella filiera della carne. Testimonianze durissime, sconvolgenti nella loro “normalità”.
E qui mi è successa una cosa paradossale. Mi sono immedesimata in quelle persone, ho provato compassione per loro, mi sono messa nei loro panni, per quanto fosse folle e doloroso. Perché mi sembrava comunque folle provare pietà per chi incrudelisce senza alcun motivo su animali già condannati a morte, li tortura per sadismo puro e semplice e lo fa a ritmi così serrati, in tale quantità che alla fine lo trova normale... diventando una persona alienata dalla realtà umana, nel senso profondo della parola. Mi sono scoperta a chiedermi se potrei mai stare accanto a chi fa quel lavoro, mi sono risposta di no. Non potrei mai seppellire un filo di inquietudine, dovuto al pensiero che a furia di uccidere e fare a pezzi animali diventi un po' più facile uccidere anche le persone. Ma comunque, mi sono sentita scissa in due: da una parte il rifiuto di provare altro che odio e schifo per loro; dall’altra la pena per persone che capiscono di fare qualcosa di atroce e sbagliato ma vanno avanti, a volte perché non hanno alternativa.

Sorprendente, no? E non è tutto: Foer offre sempre più punti di vista, tutti differenti, sulle varie questioni trattate, e a volte il risultato è straniante. Provate a leggere le parole dell’allevatrice di bovini vegetariana, o quelle del vegano che progetta mattatoi... in un modo o nell’altro, ti scuotono qualcosa dentro.

Alla fine, tutti questi racconti costruiscono una storia più complessa, personale e universale insieme. Sono sempre documentati, le note del libro sono tantissime. Purtroppo, a proposito di documentazione e universalità, mi sono chiesta spesso se quelle cose valessero anche per l'Europa, per gli allevamenti nostrani. È una obiezione comune, da parte di chi mangia carne: tanto questo non succede da noi, quei video riguardano l'America / i paesi dell’Est / chissà dove... E allora, per chi ci tiene, c’è l'indagine nei macelli europei di un paio di anni fa, in DVD, e i video di TV animalista, c'è solo l'imbarazzo della scelta.

Pubblico adesso questo post perché ieri, mentre tornavo a Castellammare in pullmann, ho visto sfrecciarmi accanto un furgone stipato di pecore e sono rimasta attonita per qualche secondo. Spero di aver visto male, spero che quel mucchio di lana ammucchiata e pressata ed esposta alle intemperie non fosse così come l’ho visto.
Mi chiedo dove andassero quelle pecore, mi domando se adesso stiano soffrendo, o se siano state uccise ed abbiano smesso di soffrire per sempre. Quando d’improvviso mi trovo davanti una pescheria o la vetrina d’un macellaio mi ricordo di colpo che gli animali muoiono, ancora e ancora, perché la gente vuole mangiarli. Questo pensiero mi addolora... e mi sorprende, perché queste morti sono così futili, così evitabili. Non mi sento perfetta perché vegetariana, faccio ciò che la coscienza mi detta e che ritengo giusto in senso assoluto. Sì, vorrei che tutti smettessero di mangiare carne, lo vorrei tanto da non poterlo descrivere a parole. Vorrei porre fine alla sofferenza, ecco tutto. Mi sembra una possibilità così vicina, e così lontana dall’essere raggiunta, che mi si spezza il respiro quando ci penso. Mi si spezza proprio perché la vedo così vicina e facile da ottenere, e così lontana dal realizzarsi. Non mi sento migliore degli altri, ma sono così contenta, così contenta di essere fuori da tutto ciò.


Se niente importa non è un’opera di propaganda, ma un racconto toccante e profondo che spinge a riflettere su molte cose, non solo per ciò che dice ma anche per come lo dice: è scritto davvero bene, sarà per questo che il messaggio passa così diretto, al cuore e alla testa.

Non ho messo grandi citazioni perché invece di comprarlo l'ho letto in biblioteca e l'ho già restituito... un'ottima soluzione per una studentessa squattrinata. Qui trovate un elenco di quelle che ce l'hanno, ma in ogni caso chiedete alla vostra biblioteca comunale, e se non c'è suggeritene l'acquisto. A me è piaciuto tanto che voglio rileggerlo presto. E voi, lo avete già fatto?


Jonathan Safran Foer
Se niente importa
Perché mangiamo gli animali?
Guanda
2010
368 pp.
€ 18.00