Parecchi giorni fa ho finito di leggere il libro di Jonathan Safran Foer, Se niente importa. È stata una delle letture più interessanti e coinvolgenti degli ultimi anni.
Ovviamente mi interessava molto l'argomento, e cioè le motivazioni che, come società, ci spingono a mangiare gli animali (il titolo originale del libro infatti è Eating animals), ma sono stata conquistata dal modo con cui l'autore ne parla.
Jonathan Safran Foer è uno scrittore, e si vede. Siano esse completamente inventate, ispirate dalla realtà altrui o tratte dalla sua vita, le storie che fanno da contorno alla domanda "perché mangiamo gli animali?" ti legano al libro pagina dopo pagina. Per l’essere umano, raccontare storie è un rituale quasi “magico”; c'è qualcosa di profondamente radicato in tutti noi che ci fa assaporare il piacere delle parole quando non si limitano alla cronaca. Quella stessa malia che da bambini ci faceva addormentare dolcemente, da adulti ci rende molto più disposti a prestare l'orecchio ad argomenti difficili, se sono incorniciati in una storia capace di avvincerci.
Raccontando la realtà degli allevamenti intensivi, Foer segue il filo rosso della storia della sua vita familiare: all’inizio ci sono i ricordi legati all’infanzia e a sua nonna, alla fine le novità portate dalla nascita del primo figlio. La considerazione che sta alla base di tutto il libro è che mangiare è un atto culturale, e mangiare carne è diventato un atto culturale estremamente radicato nella nostra società.
Questo problema se lo pone prima o poi ogni vegetariano, quando si chiede perché tutti continuano a mangiare gli animali e si interroga sulla sorte della propria vita sociale. Prima che Barbara diventasse vegetariana ne abbiamo parlato spesso; secondo lei, trascurare l’aspetto socio-culturale del cibo era un grave errore commesso soprattutto dalle varie associazioni che promuovono il vegetarismo. Prendiamo la scena classica che quasi ogni vegetariano ha vissuto: durante una festa di compleanno, il cenone di Natale, il pranzo di Pasqua o qualsiasi altra simile occasione, i tuoi parenti iniziano a fissarti come un pazzo che ha appena aderito a una strana setta. Il tuo essere diventato vegetariano o la tua scelta di diventarlo sono l'argomento del giorno, e niente li distrae da quel pensiero. Perché all'improvviso quello che mangio o non mangio è diventato così importante agli occhi degli altri? Tutto sommato, non saranno fatti miei e basta? Quando 8 anni fa sono diventata vegetariana, praticamente non mi sono posta il problema; sarà che tutto sommato la serata standard, dalle mie parti, si passa in pizzeria e quindi non avevo difficoltà a mangiare fuori casa, sarà stata la sfacciataggine e il muso duro dell'adolescenza, sarà anche che ero molto giovane e non avevo una grande vita sociale, ma all'epoca non mi importava di rinunciare ai prodotti di origine animale e alle possibilità di socializzazione che essi offrono.
Però, pensiamoci: i cibi della nostra recente tradizione, come i dolci delle feste e i piatti delle grandi occasioni, sono pieni di derivati animali. Noi non abbiamo la festa del Ringraziamento, col suo immancabile tacchino, che tanta importanza assume nel racconto di Foer, però abbiamo una varietà di cibi regionali, a base di carne o di pesce, che nella nostra mente sanno di festa e di cucina della mamma, che “fanno casa”. E l'idea di doverci rinunciare atterrisce molte persone che pure stanno valutando l'idea di diventare vegetariane.
Minimizzare non ha senso: il cibo è importante, soddisfa un bisogno primario, permea il nostro immaginario, ci fa sentire bene fisicamente ed emotivamente, crea occasioni di convivialità... la preferenza per una stessa pietanza può perfino renderci simpatica una persona appena conosciuta. Cosa succede quindi se d'un tratto smettiamo di consumare quelle tipologie di alimenti che, purtroppo, sembrano alla base della dieta dell'italiano medio? Pare quasi che si spezzi qualcosa, che si crei una frattura tra “noi” e gli “altri”, e a volte il timore che ti si crei intorno un vuoto sociale purtroppo non è ingiustificato: agli occhi dei tuoi amici andare a mangiare fuori può sembrare d'un tratto un problema insormontabile, e se ti invitano a casa per una cena vanno incontro al panico del "ma questo lo mangi?" oppure "e adesso che cosa cucino?!". Fino a qualche anno fa all'argomento non veniva data tanta importanza, ma le cose stanno cambiando e sempre più i siti che promuovono il vegetarismo offrono svariati consigli su come gestire lo smarrimento di parenti e amici davanti al cambiamento.
Ciononostante l'insistenza con cui Foer affronta l'argomento mi ha stupita positivamente: per me, il cibo ha una grande importanza, che non può essere minimizzata. Io non bevo caffè, e questo mi preclude molte cose, dal banale tentativo di corteggiamento a base di caffeina al momento di relax universitario davanti ai distributori automatici, per non parlare delle visite di cortesia nelle quali l'ospite non sa mai cosa offrirmi... L'importanza culturale del cibo è innegabile, e Foer la identifica con le storie che raccontiamo sul cibo, perché è con la narrazione che l’uomo crea e tramanda la propria cultura. Quando, da novello vegetariano, immagina le future giornate del Ringraziamento, Foer sa di dover trovare nuove narrazioni per i suoi nuovi cibi e le nuove abitudini alimentari.
Mi arrabbio molto quando vengo accusata di sentire la mancanza della carne perché mangio prodotti "sostitutivi" come burger, affettati, wurstel vegetali. Chi dice questo non comprende affatto i termini della questione. La carne l'ho mangiata, mi piaceva, ma poi ho scelto di smettere e non ricomincerei per nulla al mondo; non mi mancano il suo sapore o la sua consistenza, non mi manca la carne in sé, anzi. Ma a volte mi mancano i suoi significati, le narrazioni e i riti che vi costruiamo intorno.
Se la mamma che fino al giorno prima ti coccolava con lasagne e polpette non si sente più in grado di cucinare per te perché non sa cosa prepararti, ti si può spezzare il cuore. Se all'aperitivo tutti si riempiono il piatto e tu resti a stomaco vuoto, ti senti certamente escluso dal gruppo. E deludere zie premurose rifiutando i loro manicaretti può farti sentire terribilmente in colpa. Questo importa, nostro malgrado, ed è uno dei motivi per cui tutti finiamo per mangiare wurstel di tofu, burger di soia, straccetti di seitan, formaggi vegetali eccetera – oltre al fatto che sono buoni, intendo. Poter andare al Rewild con un gruppo di onnivori e mangiare tutti insieme un cibo dal rassicurante aspetto di un hot-dog o di un hamburger, ma vegan, mette d'accordo tutti. Ti infonde la speranza di poter accordare felicemente una vita sociale sana all'alimentazione che ritieni più giusta per te.
Per te, ma non solo. Foer dà spazio all'insostenibilità ecologica ed economica degli allevamenti intensivi, spiegando come riescano a tenere i prezzi bassi esternalizzando alcuni costi, cioè facendoli drammaticamente ricadere sull'intera società. La storia degli scempi ambientali e sanitari causati da questi allevamenti fa accapponare la pelle ed è molto attuale, in tempi di superinfluenze e zoonosi sempre più diffuse. E anche se non ho ancora letto La dieta skinny bitch, per quanto ne so di quest’ultimo, i due libri devono avere una certa affinità nel descrivere le vere e proprie schifezze contenute nei cibi di origine animale. Il brodo di merda resterà nei miei incubi per un pezzo.
Di contro, le sofferenze patite dagli animali sono quasi assenti: permeano tutte le pagine, ma in modo sottile, quasi invisibile. È soltanto alla fine che arrivano gli schiaffi in pieno viso. Alla fine, quando ormai hai abbassato le difese e pensi che quel libro, tutto sommato, sia innocuo, incruento, che nulla di quanto hai letto tornerà a tormentarti quando chiudi gli occhi. A quel punto arriva il racconto orribile delle violenze, del sadismo, delle torture, dritto dalla bocca di chi lavora nella filiera della carne. Testimonianze durissime, sconvolgenti nella loro “normalità”.
E qui mi è successa una cosa paradossale. Mi sono immedesimata in quelle persone, ho provato compassione per loro, mi sono messa nei loro panni, per quanto fosse folle e doloroso. Perché mi sembrava comunque folle provare pietà per chi incrudelisce senza alcun motivo su animali già condannati a morte, li tortura per sadismo puro e semplice e lo fa a ritmi così serrati, in tale quantità che alla fine lo trova normale... diventando una persona alienata dalla realtà umana, nel senso profondo della parola. Mi sono scoperta a chiedermi se potrei mai stare accanto a chi fa quel lavoro, mi sono risposta di no. Non potrei mai seppellire un filo di inquietudine, dovuto al pensiero che a furia di uccidere e fare a pezzi animali diventi un po' più facile uccidere anche le persone. Ma comunque, mi sono sentita scissa in due: da una parte il rifiuto di provare altro che odio e schifo per loro; dall’altra la pena per persone che capiscono di fare qualcosa di atroce e sbagliato ma vanno avanti, a volte perché non hanno alternativa.
Sorprendente, no? E non è tutto: Foer offre sempre più punti di vista, tutti differenti, sulle varie questioni trattate, e a volte il risultato è straniante. Provate a leggere le parole dell’allevatrice di bovini vegetariana, o quelle del vegano che progetta mattatoi... in un modo o nell’altro, ti scuotono qualcosa dentro.
Alla fine, tutti questi racconti costruiscono una storia più complessa, personale e universale insieme. Sono sempre documentati, le note del libro sono tantissime. Purtroppo, a proposito di documentazione e universalità, mi sono chiesta spesso se quelle cose valessero anche per l'Europa, per gli allevamenti nostrani. È una obiezione comune, da parte di chi mangia carne: tanto questo non succede da noi, quei video riguardano l'America / i paesi dell’Est / chissà dove... E allora, per chi ci tiene, c’è l'indagine nei macelli europei di un paio di anni fa, in DVD, e i video di TV animalista, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Pubblico adesso questo post perché ieri, mentre tornavo a Castellammare in pullmann, ho visto sfrecciarmi accanto un furgone stipato di pecore e sono rimasta attonita per qualche secondo. Spero di aver visto male, spero che quel mucchio di lana ammucchiata e pressata ed esposta alle intemperie non fosse così come l’ho visto.
Mi chiedo dove andassero quelle pecore, mi domando se adesso stiano soffrendo, o se siano state uccise ed abbiano smesso di soffrire per sempre. Quando d’improvviso mi trovo davanti una pescheria o la vetrina d’un macellaio mi ricordo di colpo che gli animali muoiono, ancora e ancora, perché la gente vuole mangiarli. Questo pensiero mi addolora... e mi sorprende, perché queste morti sono così futili, così evitabili. Non mi sento perfetta perché vegetariana, faccio ciò che la coscienza mi detta e che ritengo giusto in senso assoluto. Sì, vorrei che tutti smettessero di mangiare carne, lo vorrei tanto da non poterlo descrivere a parole. Vorrei porre fine alla sofferenza, ecco tutto. Mi sembra una possibilità così vicina, e così lontana dall’essere raggiunta, che mi si spezza il respiro quando ci penso. Mi si spezza proprio perché la vedo così vicina e facile da ottenere, e così lontana dal realizzarsi. Non mi sento migliore degli altri, ma sono così contenta, così contenta di essere fuori da tutto ciò.
Se niente importa non è un’opera di propaganda, ma un racconto toccante e profondo che spinge a riflettere su molte cose, non solo per ciò che dice ma anche per come lo dice: è scritto davvero bene, sarà per questo che il messaggio passa così diretto, al cuore e alla testa.
Non ho messo grandi citazioni perché invece di comprarlo l'ho letto in biblioteca e l'ho già restituito... un'ottima soluzione per una studentessa squattrinata. Qui trovate un elenco di quelle che ce l'hanno, ma in ogni caso chiedete alla vostra biblioteca comunale, e se non c'è suggeritene l'acquisto. A me è piaciuto tanto che voglio rileggerlo presto. E voi, lo avete già fatto?
Jonathan Safran Foer
Se niente importa
Perché mangiamo gli animali?
Guanda
2010
368 pp.
€ 18.00
Ovviamente mi interessava molto l'argomento, e cioè le motivazioni che, come società, ci spingono a mangiare gli animali (il titolo originale del libro infatti è Eating animals), ma sono stata conquistata dal modo con cui l'autore ne parla.
Jonathan Safran Foer è uno scrittore, e si vede. Siano esse completamente inventate, ispirate dalla realtà altrui o tratte dalla sua vita, le storie che fanno da contorno alla domanda "perché mangiamo gli animali?" ti legano al libro pagina dopo pagina. Per l’essere umano, raccontare storie è un rituale quasi “magico”; c'è qualcosa di profondamente radicato in tutti noi che ci fa assaporare il piacere delle parole quando non si limitano alla cronaca. Quella stessa malia che da bambini ci faceva addormentare dolcemente, da adulti ci rende molto più disposti a prestare l'orecchio ad argomenti difficili, se sono incorniciati in una storia capace di avvincerci.
Raccontando la realtà degli allevamenti intensivi, Foer segue il filo rosso della storia della sua vita familiare: all’inizio ci sono i ricordi legati all’infanzia e a sua nonna, alla fine le novità portate dalla nascita del primo figlio. La considerazione che sta alla base di tutto il libro è che mangiare è un atto culturale, e mangiare carne è diventato un atto culturale estremamente radicato nella nostra società.
Questo problema se lo pone prima o poi ogni vegetariano, quando si chiede perché tutti continuano a mangiare gli animali e si interroga sulla sorte della propria vita sociale. Prima che Barbara diventasse vegetariana ne abbiamo parlato spesso; secondo lei, trascurare l’aspetto socio-culturale del cibo era un grave errore commesso soprattutto dalle varie associazioni che promuovono il vegetarismo. Prendiamo la scena classica che quasi ogni vegetariano ha vissuto: durante una festa di compleanno, il cenone di Natale, il pranzo di Pasqua o qualsiasi altra simile occasione, i tuoi parenti iniziano a fissarti come un pazzo che ha appena aderito a una strana setta. Il tuo essere diventato vegetariano o la tua scelta di diventarlo sono l'argomento del giorno, e niente li distrae da quel pensiero. Perché all'improvviso quello che mangio o non mangio è diventato così importante agli occhi degli altri? Tutto sommato, non saranno fatti miei e basta? Quando 8 anni fa sono diventata vegetariana, praticamente non mi sono posta il problema; sarà che tutto sommato la serata standard, dalle mie parti, si passa in pizzeria e quindi non avevo difficoltà a mangiare fuori casa, sarà stata la sfacciataggine e il muso duro dell'adolescenza, sarà anche che ero molto giovane e non avevo una grande vita sociale, ma all'epoca non mi importava di rinunciare ai prodotti di origine animale e alle possibilità di socializzazione che essi offrono.
Però, pensiamoci: i cibi della nostra recente tradizione, come i dolci delle feste e i piatti delle grandi occasioni, sono pieni di derivati animali. Noi non abbiamo la festa del Ringraziamento, col suo immancabile tacchino, che tanta importanza assume nel racconto di Foer, però abbiamo una varietà di cibi regionali, a base di carne o di pesce, che nella nostra mente sanno di festa e di cucina della mamma, che “fanno casa”. E l'idea di doverci rinunciare atterrisce molte persone che pure stanno valutando l'idea di diventare vegetariane.
Minimizzare non ha senso: il cibo è importante, soddisfa un bisogno primario, permea il nostro immaginario, ci fa sentire bene fisicamente ed emotivamente, crea occasioni di convivialità... la preferenza per una stessa pietanza può perfino renderci simpatica una persona appena conosciuta. Cosa succede quindi se d'un tratto smettiamo di consumare quelle tipologie di alimenti che, purtroppo, sembrano alla base della dieta dell'italiano medio? Pare quasi che si spezzi qualcosa, che si crei una frattura tra “noi” e gli “altri”, e a volte il timore che ti si crei intorno un vuoto sociale purtroppo non è ingiustificato: agli occhi dei tuoi amici andare a mangiare fuori può sembrare d'un tratto un problema insormontabile, e se ti invitano a casa per una cena vanno incontro al panico del "ma questo lo mangi?" oppure "e adesso che cosa cucino?!". Fino a qualche anno fa all'argomento non veniva data tanta importanza, ma le cose stanno cambiando e sempre più i siti che promuovono il vegetarismo offrono svariati consigli su come gestire lo smarrimento di parenti e amici davanti al cambiamento.
Ciononostante l'insistenza con cui Foer affronta l'argomento mi ha stupita positivamente: per me, il cibo ha una grande importanza, che non può essere minimizzata. Io non bevo caffè, e questo mi preclude molte cose, dal banale tentativo di corteggiamento a base di caffeina al momento di relax universitario davanti ai distributori automatici, per non parlare delle visite di cortesia nelle quali l'ospite non sa mai cosa offrirmi... L'importanza culturale del cibo è innegabile, e Foer la identifica con le storie che raccontiamo sul cibo, perché è con la narrazione che l’uomo crea e tramanda la propria cultura. Quando, da novello vegetariano, immagina le future giornate del Ringraziamento, Foer sa di dover trovare nuove narrazioni per i suoi nuovi cibi e le nuove abitudini alimentari.
Mi arrabbio molto quando vengo accusata di sentire la mancanza della carne perché mangio prodotti "sostitutivi" come burger, affettati, wurstel vegetali. Chi dice questo non comprende affatto i termini della questione. La carne l'ho mangiata, mi piaceva, ma poi ho scelto di smettere e non ricomincerei per nulla al mondo; non mi mancano il suo sapore o la sua consistenza, non mi manca la carne in sé, anzi. Ma a volte mi mancano i suoi significati, le narrazioni e i riti che vi costruiamo intorno.
Se la mamma che fino al giorno prima ti coccolava con lasagne e polpette non si sente più in grado di cucinare per te perché non sa cosa prepararti, ti si può spezzare il cuore. Se all'aperitivo tutti si riempiono il piatto e tu resti a stomaco vuoto, ti senti certamente escluso dal gruppo. E deludere zie premurose rifiutando i loro manicaretti può farti sentire terribilmente in colpa. Questo importa, nostro malgrado, ed è uno dei motivi per cui tutti finiamo per mangiare wurstel di tofu, burger di soia, straccetti di seitan, formaggi vegetali eccetera – oltre al fatto che sono buoni, intendo. Poter andare al Rewild con un gruppo di onnivori e mangiare tutti insieme un cibo dal rassicurante aspetto di un hot-dog o di un hamburger, ma vegan, mette d'accordo tutti. Ti infonde la speranza di poter accordare felicemente una vita sociale sana all'alimentazione che ritieni più giusta per te.
Per te, ma non solo. Foer dà spazio all'insostenibilità ecologica ed economica degli allevamenti intensivi, spiegando come riescano a tenere i prezzi bassi esternalizzando alcuni costi, cioè facendoli drammaticamente ricadere sull'intera società. La storia degli scempi ambientali e sanitari causati da questi allevamenti fa accapponare la pelle ed è molto attuale, in tempi di superinfluenze e zoonosi sempre più diffuse. E anche se non ho ancora letto La dieta skinny bitch, per quanto ne so di quest’ultimo, i due libri devono avere una certa affinità nel descrivere le vere e proprie schifezze contenute nei cibi di origine animale. Il brodo di merda resterà nei miei incubi per un pezzo.
Di contro, le sofferenze patite dagli animali sono quasi assenti: permeano tutte le pagine, ma in modo sottile, quasi invisibile. È soltanto alla fine che arrivano gli schiaffi in pieno viso. Alla fine, quando ormai hai abbassato le difese e pensi che quel libro, tutto sommato, sia innocuo, incruento, che nulla di quanto hai letto tornerà a tormentarti quando chiudi gli occhi. A quel punto arriva il racconto orribile delle violenze, del sadismo, delle torture, dritto dalla bocca di chi lavora nella filiera della carne. Testimonianze durissime, sconvolgenti nella loro “normalità”.
E qui mi è successa una cosa paradossale. Mi sono immedesimata in quelle persone, ho provato compassione per loro, mi sono messa nei loro panni, per quanto fosse folle e doloroso. Perché mi sembrava comunque folle provare pietà per chi incrudelisce senza alcun motivo su animali già condannati a morte, li tortura per sadismo puro e semplice e lo fa a ritmi così serrati, in tale quantità che alla fine lo trova normale... diventando una persona alienata dalla realtà umana, nel senso profondo della parola. Mi sono scoperta a chiedermi se potrei mai stare accanto a chi fa quel lavoro, mi sono risposta di no. Non potrei mai seppellire un filo di inquietudine, dovuto al pensiero che a furia di uccidere e fare a pezzi animali diventi un po' più facile uccidere anche le persone. Ma comunque, mi sono sentita scissa in due: da una parte il rifiuto di provare altro che odio e schifo per loro; dall’altra la pena per persone che capiscono di fare qualcosa di atroce e sbagliato ma vanno avanti, a volte perché non hanno alternativa.
Sorprendente, no? E non è tutto: Foer offre sempre più punti di vista, tutti differenti, sulle varie questioni trattate, e a volte il risultato è straniante. Provate a leggere le parole dell’allevatrice di bovini vegetariana, o quelle del vegano che progetta mattatoi... in un modo o nell’altro, ti scuotono qualcosa dentro.
Alla fine, tutti questi racconti costruiscono una storia più complessa, personale e universale insieme. Sono sempre documentati, le note del libro sono tantissime. Purtroppo, a proposito di documentazione e universalità, mi sono chiesta spesso se quelle cose valessero anche per l'Europa, per gli allevamenti nostrani. È una obiezione comune, da parte di chi mangia carne: tanto questo non succede da noi, quei video riguardano l'America / i paesi dell’Est / chissà dove... E allora, per chi ci tiene, c’è l'indagine nei macelli europei di un paio di anni fa, in DVD, e i video di TV animalista, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Pubblico adesso questo post perché ieri, mentre tornavo a Castellammare in pullmann, ho visto sfrecciarmi accanto un furgone stipato di pecore e sono rimasta attonita per qualche secondo. Spero di aver visto male, spero che quel mucchio di lana ammucchiata e pressata ed esposta alle intemperie non fosse così come l’ho visto.
Mi chiedo dove andassero quelle pecore, mi domando se adesso stiano soffrendo, o se siano state uccise ed abbiano smesso di soffrire per sempre. Quando d’improvviso mi trovo davanti una pescheria o la vetrina d’un macellaio mi ricordo di colpo che gli animali muoiono, ancora e ancora, perché la gente vuole mangiarli. Questo pensiero mi addolora... e mi sorprende, perché queste morti sono così futili, così evitabili. Non mi sento perfetta perché vegetariana, faccio ciò che la coscienza mi detta e che ritengo giusto in senso assoluto. Sì, vorrei che tutti smettessero di mangiare carne, lo vorrei tanto da non poterlo descrivere a parole. Vorrei porre fine alla sofferenza, ecco tutto. Mi sembra una possibilità così vicina, e così lontana dall’essere raggiunta, che mi si spezza il respiro quando ci penso. Mi si spezza proprio perché la vedo così vicina e facile da ottenere, e così lontana dal realizzarsi. Non mi sento migliore degli altri, ma sono così contenta, così contenta di essere fuori da tutto ciò.
Se niente importa non è un’opera di propaganda, ma un racconto toccante e profondo che spinge a riflettere su molte cose, non solo per ciò che dice ma anche per come lo dice: è scritto davvero bene, sarà per questo che il messaggio passa così diretto, al cuore e alla testa.
Non ho messo grandi citazioni perché invece di comprarlo l'ho letto in biblioteca e l'ho già restituito... un'ottima soluzione per una studentessa squattrinata. Qui trovate un elenco di quelle che ce l'hanno, ma in ogni caso chiedete alla vostra biblioteca comunale, e se non c'è suggeritene l'acquisto. A me è piaciuto tanto che voglio rileggerlo presto. E voi, lo avete già fatto?
Jonathan Safran Foer
Se niente importa
Perché mangiamo gli animali?
Guanda
2010
368 pp.
€ 18.00
Ciao! l'ho letto anche io, finito un paio di settimane fa! Beh...è stato indubbiamente interessante, più che altro c'era certi passaggi davvero forti! Mi è piaciuto, mi è piaciuto anche il modo in cui tutto è raccontato, le motivazioni...insomma lo consiglio anche io! Su di me...non ha fatto altro che avvalorare la mia decisione di essere vegetariana, per quanto sia spesso contestata nella vita di tutti i giorni! Ciao!!!
RispondiEliminaBellissimo articolo Vera, dovresti fartelo pubblicare da qualche parte, davvero. Condivido il tuo sentire e ribadisco che questo libro è stato LA lettura 2010, per me. Non posso che consigliarlo a chiunque!
RispondiEliminaBarbara
Vera, semplicemente splendida.
RispondiEliminaGrazie, io non l'ho letto, pur amando JSF, ora lo voglio con tutto il cuore.
Grazie
Ciao Vera, cercando ricette come preparare il seitan in casa sono capitata qui "per caso"! Il tuo blog è strepitoso, ricco, simpatico, è un piacere leggerti! Non da molto mi sono accostata al vegan e credo che questo libri capiti proprio al momento giusto, grazie del consiglio! Silvia
RispondiEliminastupendo post! è da tempo che voglio leggere questo libro, magari riuscirà a farmi rinascere lo spirito veg! brava Vera!
RispondiEliminaCiao Vera,
RispondiEliminabellissimo articolo davvero, hai descritto benissimo il senso di esclusione che molti di noi, specie all'inizio della loro scelta, hanno provato. Anch'io spesso mi stupisco di come la gente continui a mangiare carne, ma si ingannano da soli, convinti che quella carne provenga da mucche felici uccise senza soffrire e se provi ad accennare al fatto che le cose non vanno proprio così, loro ti attaccano perché sono i primi a saperlo ma "finché nessuno me lo dice magari in tv allora non esiste". Poi per carità, non è che i vegan siano perfetti e gli onnivori siano tutti brutti e cattivi, ci sono delle sfumature.
Il libro di Foer l'avevo iniziato in inglese, ora lo sto aspettando dalla biblioteca, c'è la fila per leggerlo, ma tutto sommato, è un bene! Scusami se mi sono dilungata!
@lafede: sì, certi passaggi, soprattutto quelli finali, sono davvero forti. Niente che non avessi già letto, ma dopo un po' uno tende a rimuoverle certe cose. Anche a me ha rinnovato assolutamente la convinzione di essere vegetariana e mi ha fatta sentire "speciale", non nel senso di migliore ma nel senso che mi ha costretta a ricordare, come ho scritto anche nel post, che non è per nulla scontato essere vegetariana.
RispondiEliminaSo che l'ostilità dei parenti è brutta ma tu continua così, stare a posto con la propria coscienza e con la propria etica è una cosa impagabile.
Un abbraccio!
@Barbara: erano mesi che mi frullavano in testa certe cose, come sai anche per merito tuo dato che ne ho parlato proprio con te, adesso sono riuscita a metter giù questi concetti come volevo, o almeno a impostare il discorso.
Grazie degli spunti che mi hai dato. :)
Farmelo pubblicare... boh, idee sul dove? :)
@LaGolosastra: io invece non ho letto altro di Foer, in compenso ho il film Ogni cosa è illuminata pronto da vedere. Però mi sono incuriosita tanto sul JSF scrittore, lo ammetto. :)
Se lo leggi, poi, fammi sapere che te ne pare. E grazie dei complimenti. :)
@Silvia: grazie anche a te dei complimenti, sono contenta di esserti stata utile, sia per il seitan che per il suggerimento sul libro. :)
@Eleonora: secondo me tocca le corde giuste nella maggior parte delle persone, è incredibilmente ragionevole e per questo ti fa sembrare essere vegetariano come la cosa più ovvia e normale del mondo.
Se senti che è il momento giusto, ti consiglio di leggerlo appena possibile, anche se il Natale alle porte è un momento molto particolare per iniziare. ;-)
@anna: grazie, purtroppo le relazioni sociali diventano più complicate quando si diventa vegetariani, e non sempre per colpa nostra: l'atteggiamento da "finché nessuno me lo dice in tv non esiste" è la prova di qualche deficit di senso critico, che però le persone difficilmente ammettono di avere. =_=
Tranquilla, non ti sei dilungata affatto; chissà com'è il libro in inglese, a volte le traduzioni italiane peggiorano il testo originale ma in questo caso, se così fosse, in versione originale deve essere semplicemente fantastico. *_*
Vera, è la prima volta che ti scrivo...avevo già intenzione di leggere questo libro e dopo la tua recensione non vedo l'ora!
RispondiEliminaE' un piacere passare ogni giorno di qui e scoprire qualcosa di te.
Un abbraccio,
Katy
Ciao vera, seguo il tuo blog da un pò e questo post mi ha davvero commosso. So bene cosa significa sentire spezzarsi il respiro pensando ai camion pieni di animali o le macellerie, o le pelliccerie e via di seguito.
RispondiEliminaOgni giorno sono più contenta di essere vegan, e non me ne importa più niente delle critiche, delle domande, dei commenti...
Come dici tu, è bello essere fuori da tutto ciò.
Un abbraccio, Alice
@Katy: grazie, ovviamente approvo e ti consiglio di farlo al più presto! ;-)
RispondiElimina@Alice: già, anche se, e lo sento chiaramente, esserne fuori non mi esime affatto dal continuare a interessarmene, anzi! Ricambio l'abbraccio, se ti ha commossa vuol dire che hai capito perfettamente le mie parole... :)
Ciao,
RispondiEliminati seguo da un pò e non ho mai commentato, ma il libro di Foer mi è rimasto nel cuore. Letto anche io come anna in inglese, poi riletto in italiano e sempre avvinghiata alle pagine.
Ho pianto leggendo del pollo alle carote di sua nonna e di come lei "pesasse" i piccoli JSF e suo fratello prendendoli in braccio ... l'amore che passa per il cibo è una forza potente.
Degli allevamenti intensivi parla anche un altro libro interessante (ma più "freddo" e con uno scopo diverso), Il dilemma dell'onnivoro di Michael Pollan, credo che anche questo si trovi facilmente nelle biblioteche.
Grazie della bella recensione,
antonia
Ciao Antonia! Appena venerdì ho messo piede in casa, una delle prime cose che mi ha detto mia madre è stata "sei pallida", una variante del solito "ma sei dimagrita?". :)
RispondiEliminaPare che tutti i genitori abbiano questa ossessione di vedere i propri figli denutriti o malnutriti... anche se è un pensiero del tutto irrazionale.
Il libro di Pollan è citato anche da JSF, e non esattamente in chiave positiva, penso che leggerò anche quello, appena possibile. :)
A te che impressione ha fatto?
Beh, come ho scritto è freddo, molto giornalistico. Ho trovato interessante la sua analisi della parabola del mais come ingrediente base e della sua progressiva industrializzazione.
RispondiEliminaInteressante anche il capitolo sul biologico: anche io ho sempre pensato a certi prodotti biologici pronti come ad una contraddizione in termini. Tra le altre cose, MP non è vegetariano e non intende diventarlo, questo lo chiarisce subito: nel suo libro non ci sono prese di posizione o riflessioni di carattere etico (si parla anche di caccia, per dire); detto questo te lo consiglio comunque, perché il percorso riflessivo è utile a comprendere certi meccanismi mentali che possono talvolta farci compiere scelte incoerenti. Posso aspettarmi una tua recensione?
antonia
Sono curiosa di leggerlo, se lo trovo in biblioteca, con ogni probabilità lo prenderò in prestito. :)
RispondiEliminaEra tanto che aspettavo questa tua recensione!!! Comprai il libro appena uscito per regalarlo al mio ragazzo (subdolo compromesso della studentessa squattrinata: per il compleanno ti regalo un ibro che voglio leggere io, ehehe). Lui carnivorissimo, da famiglia di carnivori che se a tavola portano un piatto di verdure è sicuramente popolato di pezzetti di carne. Ovviamente avevamo già parlato molto della cosa, lui non mi denigrava per la mia scelta, ma diceva che non avrebbe mai potuto rinunciare alla carne. Bè, questo libro evidentemente ha toccato le corde giuste :)
RispondiEliminaPs: Foer è un bravo scrittore, consiglio "Molto forte, incredibilmente vicino"
un caro saluto,
Francesca
Ciao Francesca, bella la tecnica subdola, eh eh! ;-)
RispondiEliminaAppena possibile leggerò qualcosa di Foer, il tempo libero non è molto ma nelle ultime settimane mi sta tornando la voglia di staccarmi dal pc e dedicarmi alla cara vecchia carta. ^_^
Grazie del consiglio! :)
Bella recensione. Il libro di Peter Singer e Jim Mason "Come mangiamo" l'hai letto?
RispondiEliminaCiao, anche per me è il primo commento anche se ti seguo già da un po'.
RispondiEliminaVolevo farti i complimenti: è sicuramente la migliore recensione di "Se niente importa" che ho letto.
E penso che sia anche uno di quei rari e unici casi in cui la traduzione italiana del titolo, per quanto diversa, sia migliore dell'originale.
melanele
Grazie, yari. :)
RispondiEliminaNo, purtroppo no, ho una lista lunghissima di libri che vorrei leggere, ma pochi soldi da spendere. Per adesso mi sto dedicando ai grandi classici che ho saccheggiato dalla libreria del mio ragazzo. ;-)
Però mi sto attivando per cercare i libri che mi interessano in biblioteca, se dici che merita lo metto in lista d'attesa. :)
Melanele, grazie per il complimento e... benvenuta qui! ^_^
sarà fatto... poi dimmi se ti sei innamorata del film!
RispondiElimina:D
:)
RispondiEliminaSarà fatto. ;-)
Ciao Vera, com'è che se cerco notizie su qualcosa basta aprire il tuo blog?
RispondiEliminaGrazie sei preziosissima
Daniela
Grazie! :)
RispondiEliminaL'ho letto un paio di mesi fa... Ho smesso di mangiare carne...
RispondiEliminaUn libro assolutamente da leggere e rileggere...