Ancora su e giù da una Regione all'altra, ancora tempo ballerino, e stanchezza che avanza. Ma nel complesso sono allegra, ottimista: non posso farci niente, a me piace la primavera inoltrata, mi piace la luce che trafigge i vetri delle finestre e scalda la stanza, mi piace il sole che mi bacia la pelle, mi piace cominciare a togliere i vestiti strato per strato e mi piace scoprirmi ogni giorno un po' di più, come se il mio corpo dovesse uscire dal guscio dopo l'inverno.
Nonostante alcune pessime notizie arrivate dall'università sono contenta e ho voglia di fare cose nuove, o di ricominciare a fare quelle vecchie, che prima facevo e adesso non faccio più.
Ogni tanto, vuoi perché qualcuno li commenta, vuoi perché ci finisco cercando qualcosa su Google, vuoi perché ho bisogno di una mia ricetta, rileggo i vecchi post... e ce ne sono alcuni che mi divertono o mi commuovono, mi fanno ridere fino alle lacrime, come se non li avessi scritti io. Sembrano provenire da un tempo lontano, lontano; un tempo fresco e spontaneo, in cui non mi preoccupavo di cosa la gente avrebbe detto o pensato di me e quindi scrivevo quello che mi passava per la testa senza pensarci troppo. Quando scrivevo un post, me ne fregavo se le fotografie facevano schifo, anzi me ne fregavo se le foto nemmeno c'erano perché, ve la ricordate mia madre? Era sempre in agguato per mangiarsi l'ultima fetta di torta - o anche la torta intera - appena voltavo le spalle.
Non solo me ne fregavo quando qualche esperimento falliva clamorosamente, ma lo sbandieravo ai quattro venti, convinta che un foodblogger non sia un'entità perfettissima, che mettersi (e lasciarsi mettere) su un piedistallo sia sbagliato e spesso poco sincero, che il contatto umano si costruisca mostrandosi, appunto, umani, e perciò fallibili, incasinati, imperfetti. Veramente me ne fregavo pure di considerarmi o essere considerata una foodblogger, me ne fregavo delle etichette, me ne fregavo di pormi come la superchef vegana strafiga che sa e fa tutto lei; insomma me ne fregavo di un bel po' di cose.
Non me ne fregava niente di niente, o giù di lì: c'ero solo io, la mia cucina sperimentale e sconclusionata, la macchinetta digitale stravecchia, che dovevo sempre rubare a mia sorella, e questo blog col suo misterioso scheletro in html.
E poi c'era l'altro "lato" dello schermo: chi mi leggeva, chi mi scriveva e-mail, chi mi commentava. E ne sono convinta, la metà delle volte succedeva non perché cucinassi piatti di qualità o manicaretti strepitosi. Ok, credo ci siano tante ricette da leccarsi i baffi qui dentro, ma non mi seguivate per questo.
Mi seguivate perché era divertente.
Io scrivevo perché era divertente.
Negli scorsi quattro anni la mia vita è stata un casino. Un vero casino, fatto di momenti drammatici, di disperazione, di cambiamenti grandi e piccoli; e nelle pause tra una "tragedia" e l'altra della vita "normale" di una ragazza poco più che ventenne. Non sempre ero felice, non sempre ero soddisfatta di me, e a volte stavo proprio male, ma questo blog mi divertiva e mi aiutava a non prendermi troppo sul serio, a sdrammatizzare.
Poi... boh, è successo qualcosa. Non so cosa di preciso. Ed è difficile scegliere un unico momento.
Di sicuro, c'è stata la laurea. Il Mancino dice che non sono più tornata indietro. Che scrivo ancora come se scrivessi la mia tesi. Che prendo tutto troppo sul serio, come in quel periodo lì. Forse ha ragione; di certo questo blog non è più divertente come prima... almeno non per me e, credo, neanche per voi.
Ormai mi sento i riflettori puntati addosso, come se non fossi più libera di postare a piacimento. Mi faccio mille problemi. Scarto una ricetta perché banale, una foto perché non particolarmente bella, taccio i fatti miei per non sembrare esibizionista e prima di pubblicare mi chiedo sempre "che ne penseranno?". Alla fine, spesso, clicco "salva" invece di "pubblica" e aggiungo una nuova bozza alla mia collezione: un'ottantina di post aspettano ancora di vedere la luce, da queste parti.
Ho sempre messo impegno nel blog: non è facile postare novità quotidianamente, bisogna programmare, metterci un pizzico di buona volontà. Ma era divertente!
Adesso il rettangolo bianco dei nuovi post mi getta nel panico, ho tante cose da dire ma le parole stentano a uscire, le sento pesanti, accademiche, o solo futili: quando quasi tutto è già stato detto, a cosa serve aggiungere la mia voce al coro?
Ho perso spontaneità, ho perso innocenza e leggerezza. Ho perso il
quid che mi rendeva speciale.
E adesso che si fa?!
Si chiude? Si asseconda il cambiamento? Si cerca di tornare indietro?
Ci sto riflettendo su da un anno, più o meno, e di volta in volta, a turno, propendo per ciascuna delle tre ipotesi.
Sì, a volte mi convinco che chiudere sia l'unica cosa sensata da fare, perché quando un progetto si snatura forse è il caso di iniziarne un altro.
Altre volte penso che il progetto sono io, quindi se io sto cambiando cambierà anche il progetto, senza drammi.
Poi mi dico che è una fase, solo una fase. Che sicuramente la laurea mi ha messo addosso molta tensione e rigidità, ma io sono sempre io, e so ancora scrivere come un tempo, con leggerezza, ironia, delicatezza. Divertendomi. Che posso tornare indietro... disintossicarmi... perfino guarire! Magari esistono dei gruppi di sostegno per neo-Dottori in crisi che vogliono disperatamente spogliarsi del completo indossato durante la dissertazione; magari c'è un segretissimo circolo di neo-Dottoresse in cui ci si aiuta a vicenda a scendere finalmente dalle scarpe con tacco vertiginoso calzate durante la seduta. Ecco, forse ce la posso fare, forse il lato oscuro della forza non mi ha ancora assorbita del tutto, forse c'è ancora una speranza!
E allora ci provo.
Per oggi niente ricette, solo notizie varie da sapere, cose da fare, cose da guardare.
Innanzitutto: ho inserito un nuovo sito tra i link sul coltivare ortaggi sul balcone: si tratta di
Coltivare l'orto e mi ha colpita subito per la grafica fresca e la scioltezza degli articoli! Il progetto è stato avviato da poco, quindi non ci sono molti post, e la maggior parte è al livello "principianti" ma questo è un pregio, direi.
Mi hanno linkato un video molto carino, si intitola
La storia dell'acqua in bottiglia; anche se probabilmente tutti voi bevete acqua del rubinetto, guardatelo, è davvero accattivante e sarebbe carino girarlo ai propri contatti. Lo ammetto, mi sono sentita molto in colpa per quelle bottigliette da 1/2 litro che a volte mi capita di comprare in stazione quando devo prendere il treno di corsa... ma mi è servito a ricordarmi di riempire sempre la mia bottiglia prima di uscire di casa!
E a proposito di acqua... avete
già firmato perché resti
pubblica?
Non so se qualcuno di voi ha visto Report, domenica scorsa. Il servizio principale era dedicato al tonno "in scatola"; la prospettiva, chiaramente, non era animalista in senso stretto ma si è comunque parlato della pesca eccessiva e degli interessi economici e politici che girano intorno allo sfruttamento delle diverse specie, di cui molte ormai in via di estinzione.
Qualche breve accenno alla crudeltà della pesca c'è stato e le immagini parlavano da sole, alcune sono piuttosto crude. Penso e spero che qualcuno, guardando il servizio, ne sia rimasto colpito e si sia reso conto, forse per la prima volta, che prima di essere
così il tonno "in scatola" era
così, un animale vivo, vegeto e bellissimo. Se vi interessa, l'inchiesta è visibile
qui. E comunque Report è una bellissima trasmissione, quindi guardatevi pure le puntate precedenti, male non fa... a parte al fegato.
Infine, ho avuto modo di vedere uno degli ultimi libri inseriti in catalogo da
AgireOra Edizioni: è un libro illustrato per bambini, edito dalla Sonda e scritto da Ruby Roth (si intitola
Indovina chi c'è nel piatto? - Ecco perché non mangiamo gli animali!). Punto "di forza" sono i bellissimi disegni di maiali, tacchini, galline, mucche, oche, pesci e altri animali mostrati sia in libertà, sia negli allevamenti, o ancora mentre vengono cacciati. Brevi testi di accompagnamento spiegano quanto sia ingiusto mangiare gli animali e invitano a smettere di farlo; il linguaggio è molto semplice ma, forse per la delicatezza del tema, il libro è indicato per la fascia dagli 8 ai 12 anni d'età.
Potete ordinarlo
qui; sul
sito della Sonda c'è qualche informazione in più, anche sull'autrice.
E con questo, per oggi è tutto.