Credo che sia cominciato con
Paula, ma non escludo che qualche spunto ci fosse già in
Pomodori verdi fritti al caffé di Whistle Stop.
Se devo essere del tutto sincera, però, senz'altro le radici affondano nel mio animo da molto tempo, si sono sviluppate mentre io crescevo, e ben presto ciò mi ha insegnato a scovare quelle tracce praticamente ovunque, anche nei luoghi più impensabili, probabilmente perfino dove non ce n'erano, ma mi ostinavo a volerle vedere.
Le tracce, che inizialmente mi sorprendevano, facendosi più frequenti mi sono divenute abituali; talmente familiari che ormai mi portavano a qualcosa che non poteva più essere casuale, ma stava diventando assolutamente conscio, voluto, e ricercato da parte mia.
Non erano più soltanto tracce, erano
messaggi a me destinati.
Potrei dire che era la
loba a chiamarmi. Mi piacerebbe crederlo vero, ma forse sarebbe presuntuoso da parte mia.
Piuttosto, probabilmente ero io stessa a cercare disperatamente le sue orme, a tentare di seguirle perché mi conducessero... dove?
Nuovamente al mio branco?
Senz'altro a me stessa.
Per prima, dunque, fu
Paula a parlarmi, tramite sua madre Isabel, Isabel Allende.
Io non sapevo, mentre sfogliavo le pagine di quel libro, che Paula era morta dieci anni prima. Non mi era stato detto. In quel momento per me c'era solo il dolore, comunque straziante, di una madre che teme di perdere la figlia e tenta di tenerla attaccata alla vita narrandole la storia della sua famiglia.
Serviva una trama fittissima di ricordi per evitare che la sua "bambina" si smarrisse distaccandosi dal suo mondo e dalla sua esistenza, perché non si sentisse un'estranea nel suo corpo, se mai vi avesse fatto ritorno. Era un'àncora di salvezza accanto a quel letto d'ospedale e nelle camere d'albergo in cui Isabel soggiornava.
Sua figlia non potè beneficiarne, perché morì senza mai riemergere dalla notte buia del coma; io, invece, bevevo ogni parola come una linfa, trasformavo in nutrimento e in energia quella storia a me estranea, che non mi apparteneva.
Isabel Allende, famosissima sconosciuta, e Paula, giovane donna dalla vita eccezionale ormai stroncata, mi hanno trasmesso alcune delle più importanti lezioni di vita che io abbia mai ricevuto.
Quello che ho appreso dallo splendido libro di cui vi sto parlando, lo posso riassumere nella parola "forza".
Per me, l'essenza di quella donna straordinaria che è la Allende (la Allende in bilico tra romanzo e spunti autobiografici) è proprio la forza, la tenacia con cui trova sempre nuove energie per non arrendersi, serbando però il coraggio di abbandonarsi agli eventi quando non c'è alternativa praticabile. Piegarsi nella tempesta se necessario, rialzarsi ben dritta se possibile. Non è forse il modo più saggio di vivere la vita?
Proseguendo nella lettura, scoprivo in me una determinazione impensata, una spinta a non scoraggiarmi e a non disperare di poter sempre cambiare le carte in tavola, se l'avessi voluto: certo, pagando un caro prezzo, rischiando molto, mettendo a repentaglio tutto - sicurezza, abitudini, tranquillità - ma Isabel mi ha aiutata a capire che si può ricominciare da capo, tornare indietro se si imbocca il sentiero sbagliato, perché anche se a volte sembra che sia la fine, nulla è perduto finché si ha ancora fiato nei polmoni, la determinazione per camminare, e il coraggio di scegliere la propria strada.
La strada per tornare al branco, che è il posto dove si può essere se stessi.
Anzi.
Se stesse.
Perché solo voci di donna ho incontrato, in questo mio cammino; voci di donna alle donne rivolte. Voci che parlavano la mia stessa lingua, una lingua (oserei dire) antica, ancestrale, primitiva ma anche fortemente, terribilmente attuale.
E' qui che entra in gioco
la loba: l'incontro con Paula, e probabilmente la conoscenza di quella mezza matta di Idgie Threadgoode, mi avevano preparata ad ascoltarla: rendendomi consapevole della sua esistenza, e poi smaniosa di ritrovarne le tracce, e infine desiderosa di comprenderne le parole.
Una leggenda texana narra la sua storia.
"C'è una vecchia che vive in un luogo nascosto che tutti conoscono ma pochi hanno visto, pare in attesa di chi si è perduto, di vagabondi e cercatori.
E' circospetta, spesso pelosa, sempre grassa, e desidera evitare la compagnia. Emette suoni più animaleschi che umani. Dicono che viva tra putride scarpate di granito nel territorio indiano di Tarahumara. Dicono che sia sepolta alla periferia di Phoenix, vicino ad un pozzo. Dicono che è stata vista in viaggio verso il monte Alban su un carro bruciato, con il finestrino posteriore aperto. Sta accanto alla strada poco distante da El Paso, dicono. Cavalca impugnando un fucile da caccia insieme ai coltivatori di Morelia. L'hanno vista avviarsi al mercato di Oaxaca con strane fascine sulle spalle.
Ha molti nomi:
la Huersera, la donna delle ossa;
la Trapera, la raccoglitrice;
la Loba, la Lupa. L'unica occupazione della
Loba è la raccolta delle ossa. Raccoglie e conserva in particolare quelle che corrono il pericolo di andare perdute per il mondo. La sua caverna è piena delle ossa delle più varie creature del deserto: il cervo, il crotalo, il corvo.
Ma si dice che la sua specialità siano i lupi. Striscia e setaccia le montagne e i letti prosciugati dei fiumi, alla ricerca di ossa di lupo, e quando ha riunito un intero scheletro, quando l'ultimo osso è al suo posto e la bella scultura bianca della creatura sta di fronte a lei, allora siede accanto al fuoco e pensa a quale canzone cantare. E quando è sicura si leva sulla creatura, solleva su di lei le braccia e comincia a cantare. Allora le costole e le ossa delle gambe cominciano a coprirsi di carne e le creature si ricoprono di pelo. La
Loba canta ancora, e quasi tutte le creature tornano alla vita. Con la coda ispida e forte che si rizza. E ancora la
Loba canta e il lupo comincia a respirare. E ancora la
Loba canta così profondamente che il fondo del deserto si scuote, e mentre lei canta il lupo apre gli occhi, balza in piedi e corre lontano giù per il canyon.
In un momento della corsa, o per la velocità, o perché finisce in un fiume, o perché un raggio di sole o di luna lo colpisce alla schiena, il lupo è di un tratto trasformato in una donna che ride e corre libera verso l'orizzonte.
Così si dice che se vagate nel deserto, ed è quasi l'ora del tramonto, e vi siete un po' perduti, e siete stanchi, allora siete fortunati, perché forse la
loba può prendervi in simpatia e mostrarvi qualcosa - qualcosa dell'anima.
Tutti noi cominciamo come un mucchietto di ossa abbandonate nel deserto. Sta a noi recuperare le parti. La
Loba canta (usa la voce dell'anima) sulle ossa per scendere nell'amore grande e nel sentimento. Non possiamo scoprire questo grande sentimento di amore da un amante, perché si tratta di un lavoro solitario.
La Loba conserva la tradizione femminile. La
Loba, la vecchia, colei che sa. E' l'antica e vitale donna selvaggia, che è una forza indomita che porta un dono di idee, immagini e particolarità all'umanità."
La
loba canta, canta il suo
canto hondo e il canto profondo, l'ululato selvaggio, mi ha stregata.
Stregata. Strana coincidenza l'aver utilizzato, senza pensarci, questa parola, decisamente calzante però.
A lungo andare, mentre leggevo della
loba, di Vassillissa, della Llorona e di altre storie, cominciavo a sentire quel profondo canto proveniente dai dintorni; percepivo un respiro dietro di me, scorgevo con la coda dell'occhio l'ombra della lupa che mi seguiva. Ho avuto paura, ma poi ho iniziato a mettere insieme i pezzi, a capire il senso di tutte quelle tracce; ho imparato a parlare lo stesso misterioso linguaggio de
La que sabe, Colei che sa, intrecciandovi un muto dialogo.
Percepivo una presenza forte che mi accompagnava, che mi invitava a ringhiare, a difendermi, a lottare, ad assalire, a ululare. E col tempo ho sentito il bisogno vitale di rispondere all'ululato selvaggio, era fondamentale imparare a comportarmi come
la loba suggeriva: imparare a tempo debito a nutrirmi, dissetarmi, riposare, fare l'amore, soprattutto essere
creativa: alimentare ciò che doveva crescere e abbandonare ciò che doveva morire.
Ascoltare il canto dentro di me.
Quale prezzo avrei pagato, se avessi zittito quella voce, se fossi rimasta sorda al canto?
Racconta la Estes di una donna che, pur sentendolo, non riusciva a seguire il richiamo della
loba, e si trascinava in un'esistenza solitaria e sterile. Pose fine alla sua vita, con una rivoltella, mentre la sua famiglia era assente, ma non prima di aver tirato a lucido i pavimenti di casa.
La Estes commenta che non serve spiegare altro: ogni donna sa perché, prima di uccidersi, diede la cera ai pavimenti. E con un filo di sgomento mi resi conto che lo sapevo anch'io.
Non è facile dare ascolto alla
loba: parla un linguaggio antico e oscuro, e propone scelte audaci, faticose da sostenere. Ma non è neanche possibile zittirla. Impossibile non ascoltarla.
Se la vostra
loba si è risvegliata, esigerà attenzione e lo farà con durezza, con la costanza paziente di chi ha tutto il tempo, per spingervi nella giusta direzione.
Il passo successivo, per me, è stato la Dea, ma questa è un'altra storia.
A proposito di Paula e Isabel:
PaulaIsabelIl pesa nerviSu Idgie, Ruth e gli altri:
Pomodori verdi fritti al caffè di Whistle StopEvelynIl filmLa
loba:
Donne che corrono coi lupiDonn(ol)aLa donna selvaggiaClarissa Pinkola EstesRaccontare